Sveva Mazzari, tennista ligure classe 1994, ci ha raccontato la sua esperienza negli Stati Uniti d’America: dai primi passi, fino all’arrivo in Virginia e alla laurea presso la University of Huston.
“Ho iniziato a giocare a tennis nel 2002 – racconta Sveva –, avevo 8 anni se non ricordo male, ma era una passione che condividevo con altre attività. Con un papà maestro di tennis ho dovuto prendere presto una decisione ed è così che è divenuto lo sport della mia vita. In principio non vivevo la competizione, per me era e resta un grande divertimento e un momento di condivisione.
Il primo contatto con l’universo dei college americani l’ho avuto intorno ai 17 anni, mentre frequentavo il penultimo anno di liceo classico. Diversi allenatori si erano fatti sentire tramite Facebook e da quel momento ho iniziato a prendere sul serio questa possibilità. Onestamente mai avrei potuto immaginare di trasferirmi negli Stati Uniti per studiare e continuare a giocare, tanto che inizialmente ero molto scettica. La scuola era la mia assoluta priorità e dovevo trovare il modo di far conciliare le cose. Al termine del liceo ho provato a fare l’atleta a 360 gradi ma dopo un anno ho sentito la pressione ed il desiderio di mettermi di nuovo sotto con i libri: è così che sono volata subito negli States”.
La scelta del college non è stata semplice. Al mio arrivo in Virginia c’era un mondo nuovo tutto da scoprire, con coraggio e determinazione. In occasione del primo match ho rotto il legamento crociato e sono stata ferma otto mesi dovendo fare i conti con un’operazione. Il corso di studi? Anche da quel punto di vista regnava l’incertezza più totale, prendere posizione alla svelta è stato stimolante. Dopo un anno in Virginia mi sono trasferita alla University of Huston per giocare in prima divisione ed è li che, dopo due anni, mi sono laureata in spagnolo, antropologia e matematica. Ero abituata ad un college molto piccolo, approdare in una università con oltre 30.000 studenti mi ha messa davanti a molte responsabilità.
Tutto era diverso, dai ritmi quotidiani al rapporto con i professori. Il mio primo anno a Huston è stato duro sotto tutti i punti di vista. L’allenatrice era molto esigente e pretendeva il massimo da tutte noi: si stava in campo almeno quattro ore al giorno, spesso anche alle sei del mattino. Il primo allenamento sui gradoni del Football Stadium non lo dimenticherò mai. Sono praticamente stata costretta ad organizzarmi e a far quadrare il tutto, il college fa crescere molto velocemente e aiuta ad accettare le sfide a testa alta“.
Dai tornei alla scrivania, senza tralasciare il tempo libero. “Come accade in quasi tutte le università americane, senza macchina è difficile spostarsi. Huston è una città molto grande e ricca di verde, spesso mi capitava di fare lunghe passeggiate nei parchi in bicicletta insieme alle mie compagne di corso. Gli atleti-studenti sanno fare gruppo molto velocemente e si vive sin da subito un forte senso di ‘comunità’. Con alcuni di loro sono rimasta in contatto e ci sentiamo spesso per aggiornarci su come stiano andando le cose a ciascuno di noi”.
Il bilancio non può che essere positivo. “Qualora se ne abbia la possibilità è un’esperienza che consiglio di fare, magari con il giusto supporto. Ho capito quanto fosse bello essere indipendente e crearsi dei propri spazi. Ho superato la timidezza e formato tanti lati del mio carattere. Al giorno d’oggi l’inglese è fondamentale, mai come in un college è facile impararlo. Ti resta dentro tutta la vita, è come vivere in un film”.